LO PRESCRIVE LA LEGGE, E LO DICE IL BUON SENSO: IN SEDE DI ASSUNZIONE DI LAVORATORI STRANIERI, PRIMA DI SOTTOPORLI ALLA NECESSARIA “INFORMAZIONE E FORMAZIONE”, OCCORRE VERIFICARE LA LORO CONOSCENZA DELLA LINGUA ITALIANA. PER EVITARE DI SPIEGARE NORME TECNICHE E DI SICUREZZA A PERSONE CHE NON CAPISCONO UNA PAROLA D’ITALIANO.
Il problema è di grande attualità, e sicuramente lo diventerà ancora di più: quale è il livello di conoscenza della lingua italiana da parte dei sempre più numerosi lavoratori stranieri occupati nelle nostro aziende? Una domanda solo all’apparenza astratta e teorica, che in realtà, se appena entriamo nei dettagli, ha numerose e gravi implicazioni pratiche.
Siamo sicuri che tutti i lavoratori stranieri presenti nella nostra azienda – assunti, a tempo determinato, di ditte esterne etc. – siano in grado di:
• leggere la loro lingua madre, ovvero non siano analfabeti;
• comprendere le principali “parole di allarme e di pericolo” della lingua italiana, quali, ad esempio: fermati, alt, torna indietro, attento, vai a destra o a sinistra, spegni la macchina, frena, abbassa il carico etc.
• leggere e capire il senso dei cartelli di indicazione e di pericolo presenti in azienda: vietato fumare, non accendere la macchina, stop, area di sosta, vietato l’accesso ai carrelli, non salire etc.;
• leggere e capire i manuali d’istruzione delle macchine cui sono addetti, oppure gli avvisi affissi nella bacheca, e potremmo continuare a lungo.
In altri termini, sarebbe perfettamente inutile spiegare norme di sicurezza e di comportamento, o procedure tecniche e impiantistiche, a persone che non capiscono una parola d’italiano. E non si tratta di un problema occasionale: in un’indagine a campione svolta dall’Azienda ULSS 22 della Regione Veneto, è emerso che un quarto dei lavoratori stranieri indagati “non è in grado di comprendere l’informazione e la formazione erogata dall’azienda”. Con non pochi casi di analfabetismo, anche tra lavoratori residenti in Italia da molti anni.
Cosa dice la legge…
Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, cosiddetto Testo Unico
Informazione – Art. 36 comma 4: Il contenuto dell’informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative conoscenze. Ove l’informazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo.
Formazione – Art. 37 comma 13: Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.
Interpreti: sono utili, ma non basta…
In varie aziende dove sono presenti gruppi omogenei di lavoratori stranieri, uno di loro svolge, solitamente, la funzione di “interprete” e di “interfaccia” tra l’azienda e il gruppo di stranieri, non di rado provenienti dalla stessa regione, se non dalla stessa città.
Questo “interprete” è un po’ l’anello di congiunzione tra gli stranieri, che in genere non conoscono una parola d’italiano, e l’azienda e gli altri lavoratori: è l’interprete a spiegare cosa fare, come farlo, a trasmettere gli ordini ricevuti dal caporeparto, a tradurre documenti, a illustrare il funzionamento di macchine etc. Una situazione che tuttavia non può essere accettata, sia da un punto normativo che sostanziale, potenzialmente pericolosissima: in situazioni di emergenza, o anche solo di urgenza, dove i tempi di reazione dovrebbero essere nell’ordine dei secondi, non sarebbe proprio il caso di attendere la traduzione di un interprete.
Cosa fare, in pratica?
La Legge, e il buon senso, ci suggeriscono come comportarci in questi casi:
• verificare il grado di conoscenza della lingua italiana dei lavoratori stranieri;
• qualora tale conoscenza non sia sufficiente, sottoporli a corsi di alfabetizzazione, con verifica di apprendimento;
• eseguire quindi la vera e propria “informazione e formazione” per l’avviamento al lavoro in reparto.
Di fronte a questo problema, appare quindi indispensabile che i lavoratori stranieri siano sottoposti a un vero e proprio “test di conoscenza della lingua italiana”, come fase preliminare a qualsiasi attività di “informazione e formazione”. Il test proposto da EST è costituito da una serie di questionari, anche a carattere visivo e intuitivo, che dovrebbe essere tenuto in archivio, allegato al fascicolo formativo del lavoratore, a disposizione di eventuali ispezioni degli organi competenti. Tra l’altro, questo test potrebbe risultare prezioso soprattutto in caso di infortunio, sia dello stesso lavoratore straniero che di altri lavoratori, quando cioè i controlli saranno nettamente più stringenti e dettagliati che non in un normale sopralluogo ispettivo.